Dott.a Francesca Scotti – LA FORMAZIONE NELLE IMPRESE BRESCIANE: SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE

Analisi basata su interviste effettuate ai responsabili della formazione di associazioni di imprese e lavoratori della provincia di Brescia: AIB-Associazione Industriale Bresciana, API-Associazione Piccole e Medie Industrie di Brescia, Confartigianato-Unione di Brescia, Associazione Artigiani di Brescia, CNA-Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e media Impresa di Brescia, Confesercenti di Brescia, ASCOM-Associazione Commercianti di Brescia, CGIL-Camera del Lavoro di Brescia, CISL-Unione sindacale di Brescia, UIL-Camera Sindacale di Brescia.

l tema della formazione si affaccia oggi nel dibattito socio-economico locale come fattore di sempre maggiore interesse. La qualità e quantità dell’attività formativa implementata dalle aziende bresciane dipende, infatti, dalle caratteristiche del contesto in cui le imprese sono inserite, che esse stesse contribuiscono a definire e dalla congiuntura economica che debbono affrontare. A Brescia esiste un’ enorme realtà di imprese al di sotto dei 20 dipendenti, una dimensione che coinvolge decine di migliaia di aziende e lavoratori, per lo più rientranti nel settore dell’industria, per molto tempo fiore all’occhiello dell’economia bresciana. Nella nostra provincia il mercato del lavoro evidenzia una forte differenza tra domanda e offerta, determinata da fattori demografici e da elementi strutturali che riguardano da un lato le caratteristiche del sistema produttivo e dall’altro i profili e le aspettative delle nuove forze di lavoro. Le figure operaie e assimilabili costituiscono ancora una parte preponderante dell’occupazione totale bresciana, il che influisce sul tipo e la qualità delle assunzioni, che non stanno al passo con il crescente livello di istruzione e le elevate aspettative professionali dell’offerta di lavoro. L’alta richiesta, da parte delle imprese, di figure di basso profilo professionale, fa sì che la provincia di Brescia sia una delle aree con il più alto tasso di abbandono scolastico precoce. E a questo si accompagna anche il fenomeno della sottoccupazione o disoccupazione intellettuale (cioè occupazione del lavoratore al di sotto delle proprie aspettative in base al titolo di studio conseguito) rispetto al livello d’istruzione di molti giovani. D’altra parte il livello di scolarizzazione crescente, comunque inferiore alla media nazionale, induce nei giovani la scarsa disponibilità a svolgere mansioni di tipo elementare, ricoperte dalle aziende grazie ai flussi di immigrazione. Infatti, i lavoratori provenienti dall’estero rappresentano il 5% nell’industria con punte del 30% nelle categorie degli operai meno qualificati dei settori nevralgici delle manifatture.

Pertanto non stupisce scoprire che nelle imprese bresciane la formazione non è concepita come un processo continuo e stabile, come parte integrante del management strategico dell’azienda. D’altra parte, il periodo attuale caratterizzato da difficoltà e criticità, che anche a Brescia l’indice medio della produzione ha registrato nel 2005 una variazione negativa dell’indice medio della produzione, pone al mondo imprenditoriale la necessità di capire l’importanza dell’attività formativa come strumento di competitività per affrontare i mercati internazionali. I modesti investimenti in formazione, che sono conseguenza di una insufficiente valorizzazione del capitale umano, sono infatti un punto di debolezza a fronte del lavoro a basso costo disponibile all’estero. Per restare sul mercato, invece, le imprese bresciane devono puntare sulla qualità di prodotto e processo, che solo una forza lavoro qualificata può consentire. Da un’analisi della situazione attuale si evidenzia che la politica formativa delle imprese bresciane è sostanzialmente reattiva, cioè di risposta ai bisogni di inserimento e apprendimento dei neoassunti e alle necessità di aggiornamento delle conoscenze divenute obsolete. In genere è predisposta per colmare il gap, che sempre più frequentemente si crea, tra le conoscenze professionali dei lavoratori e le innovazioni tecnologiche. È cioè un’attività formativa episodica e non sistematica, ben lungi dall’esser strutturata come un processo continuo e permanente. Raramente le imprese bresciane, data la loro dimensione in prevalenza medio-piccola, hanno a disposizione risorse economiche e logistiche per predisporre degli interventi interni. Prevale quindi la formazione che si concretizza nella frequenza, da parte dei dipendenti, e talvolta anche del titolare, di corsi esterni predisposti da enti formativi o associazioni di categoria. Accade di rado che le aziende si affidino a queste strutture per la realizzazione di percorsi ad hoc e ancor più rara, ma comunque presente, è l’attuazione di interventi interni, appositamente studiati da esperti del settore e tarati sulle necessità dell’azienda e dei dipendenti. I corsi più seguiti, e quindi più realizzati, sono quelli di breve durata, cioè di circa due-tre mesi. I docenti-formatori sono dipendenti degli enti di formazione oppure esperti esterni, che di solito intrattengono rapporti di collaborazione con gli enti stessi e che spesso sono ex-imprenditori che conoscono bene il contesto e la materia oggetto dell’attività formativa.

Prevale il concetto di formazione come attività separata dall’attività lavorativa ed impera la relativa distinzione tra tempo improduttivo e produttivo, che induce molte aziende a tenere gli interventi formativi al di fuori dell’orario lavorativo. Distogliere dall’attività lavorativa i dipendenti costituisce, infatti, un fattore piuttosto critico, soprattutto nelle PMI. La nostra provincia non si discosta dalla visione “scuola-centrica” che caratterizza l’impronta nazionale: spesso la formazione è identificata con il corso, che si realizza in un contesto spazio-temporale ad hoc. Prevale, insomma, la cosiddetta formazione off the job. Le metodologie utilizzate, però, non risultano obsolete. Raramente i corsi si concretizzano in mere lezioni frontali: ad esempio per materie di tipo commerciale sono molto utilizzati i metodi interattivi e di gruppo; per corsi a contenuto specialistico in genere le lezioni teoriche sono affiancate con percorsi pratici guidati, sovente anche in azienda. I metodi sono, comunque, tutti studiati per stimolare la partecipazione attiva e l’apprendimento dei formandi. È molto praticata anche la formazione informale, quella che si svolge sul luogo di lavoro, che spesso però scade nel semplice learning by doing. Il modello più evoluto di formazione, definito “di frontiera”, prevede l’integrazione di processi formali e informali, ed è concepito, progettato e attuato solo in pochi casi, ma sufficienti a far pensare che in futuro si svilupperà dati i rilevanti benefici che può apportare sia al lavoratore che all’impresa, alla quale, però, richiede un grande impegno. L’idea di formazione come processo è molto poco diffusa. Per la maggior parte delle imprese bresciane la formazione si identifica con il momento dell’erogazione dei contenuti da veicolare. La consapevolezza dell’esistenza e importanza, per il successo stesso dell’intervento, della fase dell’analisi dei fabbisogni formativi e della progettazione è rinvenibile in poche imprese, per lo più di dimensioni medio-grandi (spesso le stesse che pensano e realizzano rilevanti e impegnativi percorsi formativi interni). La fase della valutazione, invece, è sempre presente anche perché spesso è obbligatoria per chi desidera beneficiare di fondi pubblici. In genere, essa si concretizza soltanto nella somministrazione di un questionario distribuito dagli organizzatori dell’intervento formativo ai partecipanti, al docente, e spesso anche al datore di lavoro. Questo strumento è predisposto per indagare il livello di gradimento degli allievi e per conoscere la valutazione sugli aspetti logistici dell’intervento. Dunque, la verifica rimane sovente al livello delle impressioni per i formatori, mentre le imprese valutano l’efficacia dell’attività formativa prevalentemente tramite una verifica sul posto di lavoro della messa in pratica di quanto appreso.

Le imprese bresciane evidenziano una scarsa propensione a investire risorse economiche proprie in attività formative, che non sono però assenti. Cioè, in generale le imprese aderiscono ad un numero non irrilevante di attività formative, purché queste siano gratuite o comunque a costo ridotto. Lo strumento finanziario maggiormente utilizzato è, senza dubbio, il Fondo Sociale Europeo, che permette di coprire tutti i costi dell’attività formativa. Gli altri fondi utilizzati sono: i fondi ex l. n.236/93, i contributi della Camera di Commercio e i Fondi interprofessionali, su cui alcune associazioni imprenditoriali, di concerto con i sindacati, hanno molto lavorato. La formazione a pagamento, invece, è poco frequente, e quando è attuata riguarda soprattutto i livelli professionali medio-alti cioè di formazione manageriale. Le aziende sono incentivate alla realizzazione di attività formativa anche mediante appositi strumenti giuridici: i contratti a contento formativo, la cui applicazione concreta subisce però spesso evidenti storpiature, discostandosi dal fine per il quale il legislatore ha previsto queste forme contrattuali. Infatti, l’ampio utilizzo dei contratti di apprendistato e di formazione e lavoro (che costituiscono lo strumento contrattuale principe per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro bresciano) è da collegarsi all’abbassamento del costo del lavoro che essi implicano e non al momento formativo in essi prescritto, che spesso è trascurato, se non inesistente. Inoltre, laddove il dato formativo è previsto come obbligatorio al fine della fruizione del risparmio contributivo connesso, ossia nell’ambito dell’applicazione del contratto di apprendistato, l’esperienza finora realizzata può dirsi sostanzialmente fallimentare. Il giudizio, espresso concordemente dalle organizzazioni datoriali e sindacali, riguarda soprattutto le modalità di organizzazione e realizzazione dei corsi da parte della Provincia. Tra i maggiori difetti: la predisposizione di classi miste, non omogenee in relazione al titolo di studio degli apprendisti, al settore produttivo dell’azienda in cui sono impiegati e alla mansione che in essa svolgono. Ciò conduce ad una generale assenza di “specificità” dell’attività formativa e induce uno scarso apprendimento e una valutazione negativa da parte dei giovani stessi. Molto sentito è anche il problema dell’impostazione troppo spiccatamente scolastica dei corsi di formazione esterna. Infatti, spesso gli apprendisti, specie quelli in obbligo formativo, sono ragazzi che hanno prematuramente abbandonato la scuola e che con la formazione esterna si trovano tuffati in un contesto pressoché identico. Questo genera scarsa motivazione, ed a volte anche un atteggiamento conflittuale e svogliato negli apprendisti stessi.

Con la legge 30 (nota col nome di “legge Biagi”) il sistema dei contratti a contenuto formativo è stato riformato: il contratto di formazione e lavoro, sostituito nel settore privato dal contratto di inserimento, sopravvive soltanto nel settore pubblico, ed il contratto di apprendistato assume tre diverse ed eterogenee forme: l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; l’apprendistato professionalizzante e l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione). Giudizi cauti giungono dal mondo delle imprese e da parte del mondo sindacale bresciano, più critica la CGIL: la riforma non muta lo stato di fatto, ciò che conta è che le previsioni relative al momento formativo sono sempre state poco, se non per niente, applicate. Operando un’analisi per settori, risulta che il contesto produttivo più attento al dato formativo è quello industriale. L’ABI-Associazione Industriale Bresciana ha costituito un proprio centro di formazione, molto frequentato e che costituisce un punto di riferimento per le imprese associate. Queste, peraltro, sono spesso imprese di grandi dimensioni (all’AIB sono associati i grandi gruppi industriali bresciani), che sono più attente al dato formativo. L’API-Associazione Piccole e Medie Industrie di Brescia non dispone di un proprio centro, ma si dimostra comunque molto sensibile all’attività formativa, di cui predispone annualmente un ampio e diversificato catalogo di corsi. Sicuramente in questo settore si trova il concetto più evoluto e moderno della formazione in impresa rinvenibile nella provincia di Brescia.

Nell’analisi del settore artigiano emerge la grande importanza del rapporto fiduciario che in queste imprese si instaura tra titolare e dipendente, che costituisce il momento formativo per eccellenza. La formazione, infatti, si svolge soprattutto tramite affiancamento, che permette al giovane di imparare il mestiere stando accanto al titolare artigiano. La formazione nell’artigianato non è un processo strutturato, anche perché, essendo l’impresa artigiana per definizione di piccole dimensioni, in essa il titolare svolge non solo il lavoro manuale, ma si occupa anche dei rapporti con i clienti, i fornitori, gli uffici pubblici e quindi ha poco tempo da dedicare all’insegnamento e alla formazione del dipendente. La formazione è, in genere, svincolata dall’idea del corso, perché per apprendere il mestiere gli artigiani ritengono più utile e proficuo l’imparare lavorando. Nel settore del commercio e turismo la formazione è poco praticata, e laddove viene attuata ha contenuti altamente specialistici. Più in generale, risulta però che alla sensibilità e all’attenzione delle associazioni datoriali al dato formativo, confermata anche dai sindacati, spesso non si accompagna un’eguale considerazione nelle imprese associate. Le associazioni di categoria svolgono in questo ambito un ruolo di stimolo nei confronti delle aziende. In questo scenario un ruolo fondamentale è giocato anche dai lavoratori. L’attuale situazione di instabilità economica, che mette in pericolo molti posti di lavoro, e la nuova regolazione del mercato del lavoro, che esalta la flessibilità e l’abbandono progressivo del concetto di rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato e del mito del posto di lavoro a vita, impone a molti un necessario mutamento di mentalità. Non si può più “subire” la formazione, anzi ci si deve accostare ad essa consci della sua utilità come strumento per adeguarsi alla situazione presente e per mantenere le proprie competenze e capacità professionali attraenti per le imprese. Pertanto, l’elemento di svolta ravvisabile nell’ambito del dibattito socio-economico provinciale, da cui le politiche future dovranno necessariamente partire è dato dalla constatazione e consapevolezza che la responsabilità per la piena attuazione della formazione lungo tutto il corso della vita auspicato a livello europeo non spetta a nessun sistema o attore in particolare, bensì è il risultato dell’azione congiunta dei lavoratori, dei sindacati, delle imprese, delle associazioni datoriali, delle agenzie educative, formative e culturali e delle autorità di governo ai diversi livelli.